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JUTA A MONTEVERGINE


Juta a montevergineLa stretta dipendenza e la vicinanza territoriale di Ospedaletto con il santuario di Montevergine hanno fatto sì che il paese irpino fosse da sempre il luogo preferito di transito e sosta dei pellegrini che si recano a visitare la “Vergine Bruna”, la Madonna per antonomasia fra tutte quelle venerate in Irpinia, secondo una secolare tradizione che coniuga assieme aspetti religiosi, popolari e folkloristici. Nel solco di questa tradizione si colloca, ormai da secoli, il pellegrinaggio che partendo proprio da ospedaletto, precisamente da via Montevergine, arriva al santuario di Montevergine, percorrendo un antico sentiero, il cd “sentiero dei pellegrini”. Si taglia la montagna attraverso un percorso ricco di suggestioni. A metà strada si incontra la cappella dello scalzatoio, luogo il quale ancora oggi i pellegrini che si recano a Montevergine si tolgono le scarpe per continuare il pellegrinaggio a piedi nudi; proseguendo si incontra la “sedia” della Madonna, un poggio di pietra su cui si racconta che la Vergine nera con in braccio il Figlio, nel viaggio verso la chiesa che era stata costruita in suo onore, si fermò e si riposò. La sedia della Madonna è oggi posta sotto una cappella in legno che viene definita "cappella della misura" per il fatto chiunque pellegrino si siede sulla pietra si trova particolarmente comodo.
A questo punto si riportano alcune delle più antiche tradizioni legate al pellegrinaggio e che ne hanno fatto un coacerbo di religiosità e folklore.
Una prima tradizione riguardava la partecipazione di giovani innamorati, i quali avendo eletto la Vergine come loro Patrona, annodavano lungo il sentiero cespugli di ginestre, che diventavano simbolo del nodo nuziale. Se si sposavano, infatti, le coppie sarebbero ritornate l’anno successivo, a sciogliere il nodo sotto la protezione della Madonna.
Un’altra tradizione riguardava le fanciulle dai tredici ai diciotto anni, denominate verginelle o “scapillate”, che vestite di bianco e a volte con un nastrino azzurro sulla fronte , salivano in gruppo al Santuario, quasi sempre scalze, per conto di terze persone, alle quali era stata appena concessa una grazi oppure per un voto. Si riteneva che la loro tenera età, espressione di purezza e incorruttibilità, costituisse cosa di gradimento a Dio e di conseguenza alla Madonna.
Infine, la tradizione della “cantata ‘a figliola”, una gara tra cantori improvvisati i quali a suon di rime e note musicali, accompagnati da chitarre, violini e mandolini, si sfidavano sulla narrazione delle glorie della Vergine e dei miracoli da Lei compiuti.

 

IL CUPETO


cupetoOspedaletto d'Alpinolo è noto per la produzione del torrone, che in loco viene chiamato “cupeto”, termine di derivazione latina con il quale i romani identificavano un dolce molto simile al torrone che per forma, consistenza e possibilità di conservazione anche ad alte temperature, ben si prestava ad essere consumato dai legionari durante le loro lunghe campagne.
Il “cupeto” del paese irpino presenta due versioni: la versione classica che utilizza esclusivamente le materie prime del territorio: miele, nocciole avellane, albume ed ostie; ed una versione farcita al pan di Spagna.
Entrambe le tipologie possono essere ricoperte di glassa al cioccolato e prevedere altri ingredienti (frutta secca, castagne, etc.) nella pasta, che diventa più o meno friabile, a secondo del tempo di cottura.

 

CASTAGNE RO' PREVETE


castagne del pretePreparate in loco sono le “castagne ro' prevete” (castagne del prete) così definite perché fu proprio un frate a scoprire la particolare tecnica di preparazione, che ancora oggi viene usato anche su scala industriale, che dà particolare sapore a questa golosità esclusiva del comune.
La preparazione si basa essenzialmente su un processo di essiccazione a fuoco lento su graticci di legno di castagno e sulla successiva reidratazione che conferisce al prodotto finale un lieve profumo di affumicato, creando un connubio unico con il sapore dolciastro del frutto.

 

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