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  STORIA DI AVELLINO


“E' necessario avvertire, fin dal principio, che l'Abellinum del tempo della dominazione romana, e l'Avellino longobarda, che è venuta trasformandosi man mano nella città presente, sono fra loro assai diverse, per sito, civiltà ed abitanti”.

Questa la premessa dalla quale muove lo storico Francesco Scandone nell'opera “Avellino e la sua storia” per delineare l'origine dell'attuale città ed il legame con la città romana di Abellinum che, divenuta indifendibile per la sua posizione pianeggiante in epoca medievale, fu soggetta ad un processo di spopolamento verso un nuovo nucleo fortificato in posizione collinare.

  • Abellinum Romana

    Secondo Mommsen, l'Abellinum romana sarebbe stata fondata verso l'anno 82 a.C. da Silla, quando questi, vincitore dei Sanniti, e degli Irpini, i quali avevano parteggiato per Mario, mise a ferro e a fuoco le terre di queste contrade, costituendo poco distante dalla riva sinistra del Sabato, nell'odierna Atripalda, una colonia militare con il nome di “Veneria Abellinatiam", ove venne imposta la coabitazione a fianco dei coloni venuti da Roma della popolazione indigena degli Abellinati Protropi che, appartenenti alla tribù sannitica degli Hirpini, vivevano per nuclei abitativi disseminati nel territorio. Una epigrafe dell'anno 240 d.C. definisce l'originaria “Veneria Abellinatiam” con la denominazione “Colonia Veneria, Livia, Angusta, Alexandriana, Abellinatiam”; ove gli epiteti di " Livia Augusta " furono aggiunti in onore della moglie di Ottaviano, quando questi ebbe ordinata una nuova distribuzione di terre ai suoi veterani, mentre l'aggettivo "Alexandriana" la città lo ebbe dall'imperatore Alessandro Severo per l'arrivo di nuovi veterani dall'Asia Minore. Il momento più felice per la colonia fu quello tra la tarda età repubblicana e l'età giulio-claudia, in cui la colonia venne dotata di organi istituzionali molto simili a quelli di Roma, cosa non consentita altrove, (il potere legislativo risiedeva nell'assemblea dei Decurioni mentre il potere esecutivo era affidato dai Comizii a una commissione di sette membri il cui capo era il censore. Vi erano poi altri sei magistrati: due pretori che amministravano la giustizia; due edili per le opere pubbliche; il questore per la finanza; e il questore degli alimenti per l'annona) e avviata la costruzione di uno dei più imponenti ed importanti acquedotti della romanità: il “Fontis Augustei Aquaeductum” che dalle sorgenti di Serino arrivava a Bacoli, ove era situato il grande serbatoio destinato all'approvvigionamento della flotta romana, dopo aver servito le principali città della Campania. Intorno al II-IV secolo d.C., iniziò la penetrazione del Cristianesimo ad Abellinum, come attesta la catacomba sottostante la Basilica della SS. Annunziata di Prata di Principato Ultra, luogo di riunione dei primi cristiani avellinesi. La comunità cristiana fu molto attiva nell’evangelizzazione del suo territorio, tanto che quando iniziarono le persecuzioni, agli inizi del II secolo, molti furono i martiri dell'Ecclesia Abellinensis: Sant'Ippolisto e i suoi 19 compagni, San Modestino e i suoi compagni San Fiorentino e San Flaviano. Cessate, dopo l' impero di Galerio, le persecuzioni, e abolite da Costantino, col famoso editto di Milano, del 313, tutte le leggi promulgate contro i cristiani, il Cristianesimo prese il sopravvento ad Abellinum, mediante la creazione di una diocesi, con la sede del Vescovo. Durante le prime dominazioni barbariche, scrive Francesco Scandone, nessun nocumento d'importanza dovè soffrire la Colonia abellinate che conservò, intatta la sede vescovile, le sue libertà municipali e il suo ordinamento amministrativo. E' probabile che l'antica Abellinum abbia cominciato a subire danni durante il regno di Totila, re degli Ostrogoti, che si suppone destinò ad Avellino la sorte medesima di Benevento, cioè la distruzione delle torri e delle mura, affinché non servisse da punto di appoggio ai Bizantini, i quali, comunque, nel 553 piegarono le ultime sacche di resistenza ostrogote, imponendo il proprio dominio.

  • I Longobardi

    Con la fine della dominazione bizantina (553-570), svaniscono le ultime notizie della nobilissima "Colonia Abellinatium " e si innesta la storia dell'Avellino longobarda. Infatti, i longobardi, che nel 570 avevano già costituito il Ducato di Benevento, penetrarono in territorio irpino, distrussero l'Abellinum romana e ridussero in condizione servile gli abitanti. Successivamente, essi provvidero a ripararsi in un luogo più alto, meglio difeso, e a costruire un oppidum fortificato con mura e torri, al quale fu dato il nome della città scomparsa: nome, che si trasmise anche alla nuova città. Il luogo venne individuato nel rialto detto “la Terra”, ove poi venne edificato il Duomo dell'Assunta. Costruita a notevole distanza dalla città antica, il novum Abellinum fu governato in età longobarda da gastaldi nominati prima dai duchi e poi dai principi di Benevento, in quanto tutto il territorio che costituiva l'antica colonia abellinate venne ricompreso nel gastaldato di Avellino. All’inizio del X secolo, Atenolfo I principe di Benevento elevò il gastaldato di Avellino al grado di comitato in cui i conti iniziarono a trasmettere il titolo ai loro discendenti e a non considerarsi più soltanto i più alti dignitari della corte del principe di Benevento. Nel 993 i conti di Avellino Madelfrid I e Adelferio II, figli del defunto conte Adelferio I, dispongono liberamente dei beni ex parte publica, mostrando ormai di considerare quella che all’origine era stata una concessione sovrana come una signoria pressoché indipendente. È con tutta probabilità da ascrivere al X secolo anche la fondazione della diocesi di Avellino, pur non conoscendosi con esattezza la data di fondazione della sede vescovile. Ciò che è certo è che in una bolla di Giovanni XIII del 26 maggio 969, il papa attribuì il rango di arcivescovo a Landolfo II, vescovo di Benevento, con la facoltà di consacrare vescovi nelle sedi suffraganee, tra le quali risulta anche Avellino.

  • Dai Normanni agli Aragonesi

    L'arrivo dei Normanni e successivamente degli Svevi pose la città di Avellino al centro di importanti avvenimenti, primo fra tutti il famoso accordo di reciproca alleanza tra l'Antipapa Anacleto II e Ruggero II d'Altavilla, (del 26 settembre 1130) che venne suggellato proprio all'interno del Duomo e poi ratificato con la bolla papale che nominava Ruggero II “rex Siciliae et Calabriae et Apuliae et universae terrae”. Il Regno delle Due Sicilie nacque dunque proprio ad Avellino. Con Ruggero II d’Altavilla, la signoria di Avellino venne concessa dal re prima al cognato Rainulfo ed alla sua morte nel 1139, dopo aver istituita la contea, affidata al conte Riccardo de Aquila, per essere trasmessa ereditariamente ai discendenti di questa famiglia fino all’avvento degli Svevi. Nel 1194, il castello di Avellino ospitò Enrico VI di Svevia che, sceso in Italia con l'imperatrice Costanza per prendere possesso, per diritto di successione, del regno normanno, vi soggiornò per alcuni giorni. L'imperatore dichiarò Avellino città della corona, ma poi la diede, con tutta la contea, in feudo a Gualtieri di Parigi. Altro importante avvenimento che interessò la città di Avellino si verificò sotto la dominazione angioina, quando Carlo D'Angiò col "diploma di Alife", (5 ottobre 1273) divise il Giustizierato di Principato e Terra Beneventana, considerandolo troppo esteso per essere ben governato, in “Principatus citra serras Montorii” (Principato al di qua delle montagne di Montoro) e “Principatus ultra serras Montorii” (Principato al di là delle montagne di Montoro), facendone di Avellino il capoluogo. Con l'affermazione degli aragonesi e di Re Alfonso, Avellino, rea di parteggiare assieme al suo feudatario Trojano Caracciolo per Renato d'Angiò nella disputa per il trono, venne messa a ferro e fuoco, “diroccandolo quasi tutto dalli fondamenti”, al punto tale che “il furore ispano non risparmiò il duomo, il quale venne in parte abbattuto”. Trojano Caracciolo dovette implorare perdono agli Aragonesi e passare dalla parte di re Alfonso affinché nel giugno 1441 gli venisse confermata la contea di Avellino e gran parte dei feudi del padre. La contea di Avellino venne sottratta nuovamente alla famiglia Caracciolo nel 1464 da re Ferdinando che la annesse al demanio. Il re si trattenne a lungo in Avellino ed eresse nella chiesa di S. Giacomo una cappella reale, istituendovi anche una commenda dell'Ordine di S. Giacomo della Spada.

  • Maria De' Cardona

    Uno dei periodi più floridi per la città di Avellino si ha con la feudataria Maria de' Cardona, che ricevette in eredità la Contea nel 1513, unitamente al Marchesato di Padula. Sposò in prime nozze suo cugino, il conte Artale de Cardona, morto il quale si unì in seconde nozze con Francesco d'Este. Ortensio Landi scrisse da Avellino, “C’è qui la Signora Principessa di Salerno, la quale con la sua dolce e reale presenza et con le sue gentilissime maniere sarebbe atta a rasserenare l’inferno, et ragioir le misere anime dei dannati”. La Contessa Maria, dotata non soltanto di una bellezza senza uguali, ma anche assai colta, favorì il rinnovamento della città, la sua rinascita industriale e commerciale, il suo risveglio culturale, trasformando il castello in una piccola corte dove letterati, poeti, musici e religiosi praticavano piacevoli conversazioni. Nel governo della Contea istituì un giorno di mercato franco la settimana, una fiera annuale e l'apertura di ferriere, che intensificarono il commercio e diedero impulso all'economia locale; si dedicò alla riorganizzazione amministrativa della città, al riordino edilizio e al restauro di molte chiese cittadine.

  • I Caracciolo

    Il processo di crescita intellettuale e di rinnovamento civile, iniziato al tempo di Maria de' Cardona, proseguì con l’avvento della famiglia Caracciolo. Il 6 maggio 1581 Marino Caracciolo, tramite sua moglie Crisostoma Carafa, acquistò dalla Regia Corte per 113.469 ducati il feudo di Avellino insieme con il Casale delle “Bellezze”, che passò da contea a principato perché con diploma rilasciato ad Areca il 25 aprile 1589, il re Filippo II concesse a Marino, in considerazione della virtù degli antenati e dei suoi meriti, il titolo di Principe della città di Avellino. Marino Caracciolo subordinò l'acquisto della città alla condizione che ad Avellino non dovessero risiedere ufficiali regi; per questo venne trasferita la udienza provinciale a Montefusco ed Avellino perdette il rango di capoluogo della provincia di “Principato Ultra”. Iniziò, così, il lungo periodo feudale della famiglia Caracciolo (che durò fino all'abolizione dei diritti feudali nel 1806), durante il quale Avellino subì una organica ristrutturazione urbanistica ed edilizia, uno straordinario incremento economico e una fioritura delle arti e dello studio delle lettere. Il mecenatismo dei Caracciolo portò ad Avellino insigni artisti dell’epoca per la realizzazione di edifici e di monumenti; arrivarono ad Avellino l’architetto e scultore bergamasco Cosimo Fanzago, il più prestigioso esponente del barocco napoletano, per la realizzazione di edifici e di monumenti, ed il pittore Angelo Michele Ricciardi. Il XVII secolo rappresentò per Avellino il periodo di maggiore splendore ma anche di luttuosi avvenimenti: i cruenti tumulti provocati nel 1647 dalle bande del capopopolo Paolo di Napoli nella cosiddetta rivoluzione di Masaniello, la pestilenza del 1656 e il terremoto del 1688. In particolare, la pestilenza falcidiò di tre quarti gli abitanti della città, tanto da trasformarla in una terrificante “città-fantasma”. La pestilenza decretò anche la fine del Castello, che rimase in stato di abbandono, al punto tale che agli inizi del settecento venne sostituito dal nuovo palazzo dei principi al Largo d'Avellino (Piazza Libertà).

  • Capoluogo

    Altro evento fondamentale per la città di Avellino si ebbe nel 1806, con la legge che abolì il feudalesimo e quella che stabilì la suddivisione del Regno in 13 Province con la creazione della nuova provincia di Principato Ultra, suddivisa nei tre distretti di Avellino, Montefusco e Ariano, con Avellino capoluogo della Provincia al posto della decaduta Montefusco.

 

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